IL RIARMO E L'EUROPA. TORINO AL CENTRO DEL DIBATTITO SULLA DIFESA
Il convegno è stato presentato da Beppe Fossati ed è stato organizzato da Centro Studi San Carlo di Stefano Commodo e la Fondazione Quarto Potere
l riarmo è una questione che anche dei torinesi non possono ignorare. L’esigenza di esprimersi sul piano di difesa comune che, ad un paio di settimane dall’approvazione del piano ReArmEu 2030 (poi rebrandizzato Readiness 2030) è passata anche per il Consiglio comunale e tocca in modo sempre più vivo l’opinione pubblica, abituata a segregare il conflitto altrove, purché sempre fuori dal vecchio continente. Di questo, ma anche della quanto mai audace politica estera del presidente Usa Donald Trump e delle sue implicazioni in Europa, si è parlato nel partecipato incontro di geopolitica presentato dal vicepresidente di Fondazione Quarto Potere Beppe Fossati ed organizzato da Centro Studi San Carlo e Rinascimento Europeo, di cui è portavoce Stefano Commodo, presso la sede del Centro Studi lo scorso lunedì pomeriggio. La seconda di quattro conferenze che intendono toccare i punti nevralgici dell’attuale scenario geopolitico internazionale svelando le reali intenzioni dei grandi attori. A partire dalla “maschera da buono e democratico” che gli Stati Uniti di Trump hanno tolto, passando per il cambio di registro ma senza intaccarne la sostanza su impulso del presidente Meloni, del piano di riarmo. L’evento, moderato dal vice- presidente di Nazione Futura Ferrante De Benedictis, ed in cui sono intervenuti il presidente di Nazione Futura Pasquale Ferraro, il generale del Corpo d’Armata Luigi Chiapparelli ed il direttore e analista di Start Insight Claudio Bertolotti, parte da una disamina della politica trumpiana e dalla sostanziale trasformazione della diplomazia internazionale, in cui gli Stati Uniti non sono più “i salvatori della democrazia”.
«Trump si muove sul dilemma del prigioniero: forzare per arrivare ad una cooperazione. Si torna a trattare stato per stato e l’Europa non è più un interlocutore credibile», spiega De Benedictis. «Oggi la diplomazia è cambiata, ridefinita da Trump, molto più “di pancia”, meno elegante, ma replica Bertolotti guarda agli obiettivi.
Oggi i suoi interessi sono diversi e sta urlando ciò che Obama e Biden hanno detto sottovoce: la priorità non è l’area euro atlantica, ma quella indopacifica». Altro tema caldo la dialettica bellica, che spa- venta per le implicazioni, economiche e non. «La soglia del 2% del Pil che l’Italia non ha mai raggiunto era necessaria già ieri. Oggi sostiene il generale Chiapparel li non basta. Qualcuno si deve sostituire agli Usa. Non dobbiamo riarmarci per andare a fare la guerra a qualcuno, ma per assicurarci una necessaria deterrenza militare», aggiunge il generale. Una soglia che ha scisso opinione pubblica, oltre che politica: «il 51% degli italiani è contrario alle armi», spiega Fossati. Questo perché la percezione italiana è che gli investimenti di “difesa integrata”, dopotutto, non ci riguar- dino. «Ci siamo illusi per anni afferma Ferraro di fare “peace keeping”, portando avanti operazioni di guerra altrove. Con il cambio di registro da piano di riarmo a piano di “prontezza” l’Italia voleva passasse il messaggio che questi investimenti fossero dovuti ad una “tutela nostra”», aggiunge Ferraro. “Internalizzando”, cioè, il concetto, come fanno gli Usa: «Che quando vanno fuori sanno di stare definendo il loro interesse strategico. È necessario ribadisce Com modo il recupero di un ruolo europeo unitario, altrimenti si condanna all’irrilevanza. Questa la sfida da affrontare», conclude.